Sentenza n. 2 del 1976
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SENTENZA N. 2

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Dott. Luigi OGGIONI, Presidente

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 18 della legge 22 luglio 1966, n. 607 (norme in materia di enfiteusi), promosso con ordinanza emessa il 20 giugno 1973 dal tribunale di Napoli - sezione specializzata agraria - nel procedimento civile vertente tra il Convitto nazionale Vittorio Emanuele II di Napoli e Santini Sofia, iscritta al n. 362 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 276 del 24 ottobre 1973.

Visto l'atto di costituzione del Convitto nazionale Vittorio Emanuele II di Napoli;

udito nell'udienza pubblica del 29 ottobre 1975 il Giudice relatore Edoardo Volterra.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento per l'affrancazione dell'enfiteusi di un fondo rustico (l'enfiteusi - risulta dagli atti é stata costituita anteriormente al 28 ottobre 1941) vertente tra il Convitto nazionale Vittorio Emanuele II di Napoli e Sofia Santini, il tribunale di Napoli, su eccezione del Convitto concedente ha sollevato, con ordinanza emessa il 20 giugno 1973, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 18 della legge 22 luglio 1966, n. 607, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Secondo il tribunale le disposizioni denunziate, in quanto e perché vengono ad abrogare l'art. 962 del codice civile riguardante la revisione dei canoni enfiteutici, contrasterebbero con il principio di eguaglianza sotto profili diversi da quelli esaminati dalla Corte nella  sentenza n. 37 del 1969, con la quale peraltro é stata dichiarata l'illegittimità delle norme in esame solo relativamente alla parte in cui comprendono i rapporti costituiti successivamente alla data del 28 ottobre 1941.

Sempre secondo il tribunale, infatti, la legge n. 607 del 1966 avrebbe parificato illegittimamente la situazione dell'utilista che é coltivatore diretto con quella dell'utilista che trae dai fondi solo la rendita, per quanto attiene all'immutabilità del canone enfiteutico. Essa, ancora e sempre in contrasto con il principio di eguaglianza, non avrebbe previsto alcuno strumento di rivalutazione del canone rispetto alla svalutazione monetaria, creando per di più una disparità tra il cittadino domino diretto e tutti gli altri cittadini, i quali, a norma dell'art. 1467 cod. civ., hanno diritto di chiedere la risoluzione del contratto per intervenuta eccessiva onerosità.

Infine l'art. 3 della Costituzione risulterebbe violato perché la legge n. 607 del 1966 (e quella n. 1138 del 18 dicembre 1970) avrebbero introdotto discipline diverse per enfiteusi urbane ed enfiteusi rustiche, spezzando l'unità del medesimo istituto giuridico, regolato nei secoli sempre con norme uniformi, determinando così una diversità di trattamento tra le due categorie di concedenti.

2. - L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

Si é costituito dinanzi alla Corte costituzionale il Convitto nazionale Vittorio Emanuele II, rappresentato e difeso dall'avvocato Elio De Martino.

Nel chiedere che la questione venga accolta, il Convitto pone a sostegno dell'eccezione di illegittima parificazione fra utilisti che siano o non siano coltivatori diretti la sentenza n. 155 del 1972 di questa Corte, con la quale é stata ritenuta incostituzionale la parificazione operata tra affittuari coltivatori diretti e affittuari imprenditori, ai fini della determinazione del canone nei fitti agrari.

Richiama la medesima decisione in ordine all'assenza di un sistema di rivalutazione dei canoni rispetto alla perdita di valore d'acquisto della moneta, mentre contesta che l'immutabilità del canone costituisca principio generale per le enfiteusi costituite anteriormente al 28 ottobre 1941, citando, al proposito, la legge 11 giugno 1925, n. 998, che aumentò tutti i canoni enfiteutici del 20%, proprio in conseguenza della svalutazione monetaria verificatasi a seguito della prima guerra mondiale.

Quanto alla mancata previsione della risoluzione per intervenuta eccessiva onerosità, essa, secondo il Convitto, era giustificata nel sistema previgente dall'art. 962 cod. civ., che consentiva la periodica revisione del canone. Di conseguenza con l'abrogazione della norma suddetta si sarebbe venuta a porre in essere una ingiustificata disparità di trattamento tra cittadini, specie se si considera che la legge 18 dicembre 1970, n. 1138, espressamente prevede la rivalutazione del canone per le enfiteusi urbane (artt. 5 e 6).

Considerato in diritto

1. - L'ordinanza in epigrafe denunzia, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, l'illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 18 della legge 22 luglio 1966, n. 607, nella loro applicazione ad enfiteusi costituite su fondi rustici anteriormente al 28 ottobre 1941.

Il giudice a quo, richiamandosi alla sentenza n. 37 del 1969 con la quale la Corte ha già esaminato la costituzionalità della legge impugnata e in particolare la legittimità dell'art. 1 di questa in riferimento all'art. 3 della Costituzione, afferma di sollevare nuovamente questioni di legittimità costituzionale "sotto profili in parte diversi da quelli già esaminati e decisi" dalla sentenza citata e precisamente:

a) Sarebbe violato il principio di uguaglianza in quanto l'art. 1 della legge denunziata avrebbe dettato uguale trattamento per l'utilista coltivatore diretto e per chi, non avendo tale qualifica, trae dal possesso del dominio utile soltanto la rendita. Tale questione, afferma l'ordinanza, sarebbe stata solo incidentalmente esaminata nella citata sentenza n. 37 del 1969 della Corte costituzionale.

b) Altra violazione dell'art. 3 della Costituzione si ravviserebbe nell'art. 18, secondo comma, della legge citata per avere questo abrogato l'art. 962 del codice civile, senza avere previsto alcuno strumento di rivalutazione del canone in ordine alla svalutazione monetaria.

c) Il medesimo art. 18, abrogando l'art. 962 del codice civile, avrebbe, con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione, creato "una disparità di trattamento fra il cittadino domino diretto e tutti gli altri cittadini che, a norma dell'ar. 1467 del codice civile, hanno diritto di chiedere la risoluzione del contratto per intervenuta eccessiva onerosità". Secondo il giudice a quo, l'inapplicabilità all'enfiteusi, affermata dalla costante giurisprudenza anteriore alla legge n. 607 del 1966, del principio di cui all'art. 1467 del codice civile "derivava dallo specifico sistema delle norme regolanti l'istituto, particolarmente quella contenuta nell'art. 962 del codice civile; dal che consegue", prosegue l'ordinanza, "che, per effetto dell'abrogazione disposta dall'art. 18 della legge 607, il divieto di revisione del canone e la mancata previsione di uno strumento di adeguamento, si converte in una ingiusta disparità di trattamento a danno di una categoria di cittadini che si trovino in situazioni eguali, specie ove si consideri che la legge 18 dicembre 1970, n. 1138, espressamente prevede la facoltà di rivalutazione delle enfiteusi urbane (artt. 5 e 6)".

d) L'ordinanza in epigrafe denunzia inoltre la violazione dell'art. 3 della Costituzione, per avere la legge n. 607 del 1966 e la legge n. 1138 del 1970 "determinato modalità diverse per un unico istituto giuridico, regolato nei secoli sempre con norme uniformi, creando così disparità di trattamento fra concedenti per enfiteusi urbane e concedenti per enfiteusi rustiche".

Argomenti analoghi sono invocati dalla parte privata costituita in giudizio.

2. - La prima censura alle disposizioni denunziate si riallaccia alla sentenza n. 155 del 1972 della Corte costituzionale, con cui appunto venne ritenuta illegittima la parificazione tra affittuari che coltivano il fondo col lavoro proprio e dei propri familiari ed affittuari imprenditori, ai fini della determinazione del canone nell'affitto dei fondi rustici.

La questione é infondata.

É infatti arbitraria qualsiasi assimilazione del rapporto enfiteutico a quello preso in considerazione con la pronunzia richiamata, sia sotto il profilo giuridico, sia sotto quello economico-sociale. Quanto al primo, é fin troppo noto che, a differenza del contratto di locazione-conduzione, generatore di rapporti di obbligazione fra i contraenti, la costituzione di enfiteusi fa sorgere un diritto reale sull'immobile altrui che assorbe quasi interamente l'esercizio della proprietà sulla cosa, attribuendo all'enfiteuta oltre al potere di disporre del proprio diritto, anche il godimento del fondo enfiteutico nonché il diritto di acquistarne la proprietà mediante l'affrancazione, diritto questo considerato un requisito essenziale dell'istituto stesso.

Inoltre, é elemento naturale dell'enfiteusi, caratterizzante anche sotto l'aspetto economico e sociale, l'obbligo di migliorare il fondo, da cui si trae l'utilità, obbligo non inerente al contratto di affitto di fondi rustici e presidiato, in caso di inosservanza, dall'istituto della devoluzione di cui all'art. 972 cod. civ., rimasto in vigore anche a seguito della legge n. 607 del 1966 (art. 8).

Tale obbligo di miglioramento del fondo, che grava in maniera indifferenziata su tutti gli utilisti, conferma la ragionevolezza di non distinguere tra le specifiche posizioni degli utilisti, disponendo l'abrogazione dell'art. 962 cod. civ.

3. - Consapevole e precisa scelta del legislatore é poi quella di non predisporre alcuno strumento di rivalutazione della misura del canone, anche in considerazione dei suoi riflessi sull'affranco, simile a quello previsto dall'abrogato art. 962 cod. civ., ma di fissare tale misura con riferimento al reddito dominicale dei terreni per le enfiteusi d'antica data costituite anteriormente al 28 ottobre 1941.

La considerazione che in materia sembra risolutiva é che, per le enfiteusi in esame, principio indiscusso nel corso dei secoli (e confermato dall'isolato esempio addotto dalla parte costituita) era quello dell'immutabilità del canone, in tale inalterabilità ravvisandosi l'originalità dell'istituto a vantaggio dell'utilista vincolato al miglioramento del fondo.

Come già ritenuto nella più volte citata sentenza n. 37 del 1969 ne consegue che il sindacato sull'abrogazione dell'art. 962 cod. civ. disposta dal legislatore (art. 18 legge n. 607 del 1966) e sulla commisurazione del canone ai parametri della rendita catastale, con l'effetto del ritorno alla tradizione, appartiene ad una valutazione discrezionale dei motivi che non può formare oggetto di sindacato di questa Corte.

4. - Data la particolare unitaria struttura dell'istituto e la sua netta differenziazione dalla locazione dei fondi rustici (struttura e differenziazione che la Corte ha tenuto presenti nelle sue precedenti pronunzie) non si vede come possa prospettarsi l'affrancazione in base alle leggi vigenti di un'enfiteusi costituita prima del 28 ottobre 1941 sotto l'aspetto di un'espropriazione. Infatti al titolare del diritto reale di enfiteusi, spetta sin dal momento della costituzione dell'enfiteusi, il diritto di acquistare con affrancazione la proprietà dell'immobile mediante il pagamento di una somma risultante dalla capitalizzazione del canone; l'espropriazione consiste invece non nell'esplicazione di un preesistente diritto soggettivo, ma nell'esercizio di un potere avente l'effetto di privare il proprietario del suo diritto a fini di pubblico interesse. Come ha rilevato la Corte nella sentenza n. 53 del 1974 "appare arbitrario equiparare all'espropriazione l'esercizio della facoltà di riscatto della piena proprietà mediante l'affrancazione, e l'enfiteuta non può essere considerato come il beneficiano d'un ingiustificato trasferimento dell'altrui proprietà fonte di indebito arricchimento di un soggetto privato ai danni di un altro".

E tanto meno può prospettarsi che il diritto di affranco, inerente alla struttura dell'istituto, possa essere diverso nelle modalità e nell'esercizio o comunque possa subire modificazioni a seconda che l'enfiteuta coltivi direttamente l'immobile oggetto del suo diritto o lo faccia lavorare da altri.

Fondatamente la Corte nella sentenza n. 37 del 1969, limitando la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 1 della legge n. 607 del 1966 alle sole enfiteusi costituite posteriormente al 28 ottobre 1941, ha sottolineato che l'art. 962 del codice civile, (espressamente abrogato dalla legge n. 607 del 1966) il quale ammetteva, su richiesta dell'interessato, la revisione del canone, ha segnato "una importante demarcazione" fra le enfiteusi costituite anteriormente all'entrata in vigore del codice e quelle costituite successivamente, in quanto, ha soggiunto, "i nuovi rapporti sono sorti ab initio - e si sono svolti sotto la garanzia della possibile operatività di quel diritto".

Il medesimo criterio di distinzione fra le enfiteusi costituite prima del 28 ottobre 1941 e quelle costituite successivamente é stato assunto ed applicato dalla Corte nella sua sentenza n. 53 del 1974 con cui ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 9, 10, 11 e 12 della legge n. 1138 del 1970 "limitatamente alla parte in cui comprendono nella nuova normativa anche i rapporti di enfiteusi urbana ed edificatoria costituiti successivamente alla data del 28 ottobre 1941".

Le motivazioni della Corte svolte nelle due sentenze citate, investono, confutandoli in pieno, gli argomenti addotti in questa sede per sostenere l'illegittimità costituzionale del citato art. 1 della legge n. 607 del 1966 per le enfiteusi costituite anteriormente al 28 ottobre 1941, argomenti che si appalesano pertanto infondati. Non é pertinente il richiamo del giudice a quo e della parte privata alla sentenza n. 155 del 1972, la quale concerne materia affatto diversa e cioè la legittimità degli artt. 1, 3 e 4 di altra legge n. 11 del 1971, concernente la disciplina dei fondi rustici e non l'enfiteusi, per violazione dell'art. 42, secondo comma, della Costituzione. É fin troppo evidente che le considerazioni svolte nella sentenza in tema di contratti di affitto di fondi rustici, creativi di rapporti di obbligazione fra le parti, non possano in alcun modo valere per i diritti reali sorti attraverso una antica costituzione di enfiteusi anteriormente al 28 ottobre 1941.

5. - Ancor meno é sostenibile l'incostituzionalità dell'art. 18 sotto il profilo che il domino diretto non può, a differenza di altri cittadini, far ricorso all'art. 1467 del codice civile.

É infatti pacifico in giurisprudenza e dottrina che questa ultima norma é applicabile esclusivamente nel campo di diritti obbligatori e non certo in ordine all'esercizio di diritti reali. Come afferma la Corte di cassazione, l'istituto dell'enfiteusi, "anche quando abbia origine contrattuale e ancorché possa successivamente risolversi nel trasferimento della proprietà all'enfiteuta mediante l'affrancazione, é pur sempre costitutivo di uno "ius in re aliena", con effetto istantaneo, e non può equipararsi ad una compravendita sotto condizione potestativa, ad esecuzione differita".

La norma denunziata, abrogando l'art. 962 del codice civile e ripristinando con ciò l'antico regime dell'enfiteusi, non dà luogo ad alcuna situazione di disparità lesiva dell'art. 3 della Costituzione, essendo del tutto razionale ed anzi consequenziale a basilari principi giuridici che la richiesta di risoluzione di un contratto per eccessiva sopravvenuta onerosità siano legittimati i titolari di rapporti obbligatori e non invece i titolari di diritti reali inerenti direttamente sulla cosa.

6. - Non violano il principio di uguaglianza nemmeno le denunziate diverse modalità previste nelle leggi n. 607 del 1966 e n. 1138 del 1970 per le enfiteusi urbane e per quelle rustiche, trattandosi di norme regolatrici di situazioni oggettivamente diverse e rispondenti a criteri razionali. Sulla distinzione fra l'una e l'altra enfiteusi e sui suoi riflessi nel campo legislativo si é già espressa la Corte nella sua sentenza n. 53 del 1974 osservando che "il legislatore, proprio per considerazioni delle speciali caratteristiche dei rapporti aventi ad oggetto immobili urbani o terreni a destinazione edificatoria, ha provveduto a dettare per essi una speciale disciplina, diversa da quella prevista per le enfiteusi rustiche e i rapporti alle medesime assimilati".

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 18 della legge 22 luglio 1966, n. 607 (norme in materia di enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue) sollevate in riferimento all'art. 3 della Costituzione dall'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1976.

 Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI -  Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 15 gennaio 1976.